IL DIPENDENTE CHE TIMBRA IL CARTELLINO DI UN ALTRO PUO’ ESSERE LICENZIATO – CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 5777/2015

Svolgimento del processo
Con sentenza pubblicata il 28.1.2013 la Corte d’appello di Ancona, pronunziando sull’impugnazione proposta da C.L., ha riformato la sentenza del giudice dei lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile la domanda di quest’ultimo volta all’annullamento del licenziamento intimatogli il 3.2.2011 dalla Carnj Società Cooperativa Agricola e, per l’effetto, pur accertando che il ricorso giudiziale non era da considerare tardivo, ha ritenuto che l’addebito disciplinare era fondato e che la sanzione applicata era proporzionata all’entità del fatto oggetto di contestazione, per cui ha rigettato la domanda del lavoratore. Ha spiegato la Corte territoriale che l’addebito mosso al L. di aver marcato intenzionalmente il cartellino di un collega che sapeva essere assente dal lavoro era un elemento non contestato e tale comportamento integrava una frode atta ad incidere sul sistema dei controlli necessari dei personale, oltre che a compromettere il rapporto fiduciario, per cui l’elusione dei sistemi di controllo datoriale non consentiva di ritenere adeguata una sanzione
conservativa. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il L. con due motivi. Resiste con controricorso la Carnj Società Cooperativa Agricola che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato ad un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale condizionato ai sensi dell’art. 335 c.p.c. 1. Col primo motivo del ricorso principale il L. denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi dei giudizio, quali il suo ravvedimento operoso e la durata del rapporto contraddistinto dall’assenza di precedenti disciplinari, assumendo che la disamina di tale elementi avrebbe condotto all’accertamento della insussistenza di una lesione definitiva dell’elemento fiduciario. Quindi, il ricorrente contesta l’affermazione della Corte di merito per la quale la sola circostanza della timbratura al posto dei collega assente, avente rilevanza penale e disciplinare, comportava di per sé la perdita del rapporto fiduciario, senza tenere, invece, conto del comportamento riparatorio di esso lavoratore e della sproporzione della sanzione, anche in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari durante l’intera durata del rapporto di lavoro. Osserva la Corte che alla luce della nuova versione della norma di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile “ratione temporis” nella fattispecie, si è statuito (Cass. Sez. 6 – 3, n. 12928 del 9/6/2014) che “in tema di ricorso per cassazione, dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi dei tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili.” Orbene, tali condizioni non sono ravvisabili nel caso in esame, avendo la Corte territoriale vagliato attentamente il materiale istruttorio sottoposto al suo esame nel pervenire al convincimento della irrimediabile rottura del vincolo fiduciario, tale da non giustificare in alcun modo la prosecuzione del rapporto di lavoro. Infatti, la Corte ha posto in evidenza, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di ordine logico-giuridico, che il medesimo lavoratore aveva ricordato l’elevatissimo numero di dipendenti addetti allo stabilimento e non aveva contestato che il cartellino recava l’espressa
menzione della sua incedibilità e che gli abusi venissero sanzionati a termini di legge, oltre che sul piano disciplinare. In sostanza, secondo la Corte, i dati istruttori offrivano elementi per ravvisare nel comportamento del L. una frode, attuata attraverso la disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo datoriale, che incideva sul sistema dei controlli necessari e tanto più complessi per il rilevante numero dei lavoratori, il cui adempimento agli obblighi contrattuali si trattava di verificare. Oltretutto, l’omesso esame, atto a configurare l’ipotesi del vizio di motivazione nella nuova versione applicabile nella fattispecie, deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, mentre quelli indicati dall’odierno ricorrente, vale a dire il suo ravvedimento operoso successivo e la mancanza di precedenti disciplinari a suo carico, non denotano il supposto carattere della decisività, mentre gli stessi si rivelano, in realtà, strumentali ad una rivisitazione del merito istruttorio che non è consentita nel giudizio di legittimità, per cui il motivo in esame è infondato. 2. Col secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha violato e mal applicato l’art. 2119 c.c. e l’art. 2106 c.c., nonché la normativa contrattuale esplicitata nel CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti (artt. 72 e 73) ed i relativi contratti provinciali di cui all’allegato F lettera A). In pratica, il ricorrente assume che le previsioni collettive non contemplavano il comportamento contestatogli tra le ipotesi passibili della massima sanzione e, nel contempo, ritiene che, pur a fronte della gravità del fatto addebitatogli, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la sua condotta nel complesso, ivi compreso il successivo ravvedimento operoso che aveva consentito al datore di lavoro di venire a conoscenza del fatto illecito. II motivo è infondato. Invero, il richiamo alla tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari passibili di licenziamento non fa venir meno la “ratio decidendi” basata sulla rilevata gravità dell’episodio considerato come frode in danno dei datore di lavoro e sulla valutata inidoneità di sanzioni conservative nel caso concreto. Infatti, con congrua motivazione la Corte d’appello, dopo aver adeguatamente valutato i fatti di causa, ha spiegato che la disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo approntati dalla datrice di lavoro rappresentavano sul piano soggettivo degli elementi che comportavano inevitabilmente il venir meno dei rapporto di fiducia in termini incompatibili con la prosecuzione, sia pure temporanea, del rapporto e non consentivano di ritenere adeguata una mera sanzione conservativa. Tra l’altro, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 2906 dei 14/2/2005), “in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. II relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato. (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la corrispondenza del fatto alla previsione della norma contrattuale, ma aveva anche escluso, con congrua motivazione in ordine alla congruità della sanzione disciplinare, che le circostanze concrete con cui esso si era verificato – litigio tra colleghi con passaggio a vie di fatto all’interno dei luoghi di lavoro- fossero tali da limitare, o ridurne, la gravità). (Conf. Cass. Sez. L, n. 27464 del 22/12/2006). In definitiva, il ricorso principale va rigettato. Quanto al ricorso incidentale, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 6, comma 2, della legge n. 604/1966, dell’art. 32, commi i e 1-bis, della legge n.
183/2010 e dell’art. 2, comma 54, del D.L. n. 225/2010, convertito con legge n. 10/2011, col quale la difesa della Cooperativa contesta la ritenuta tempestività dell’impugnazione giudiziale del licenziamento, si osserva che lo stesso è stato proposto solo in via condizionata all’accoglimento di quello principale, per cui dal rigetto di quest’ultimo consegue l’assorbimento della sua disamina. Le spese di lite dei presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrente principale e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater dei d.P.R. n. 115 dei 2002.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiarare assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese dei presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater dei d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dei comma 1-bis dello stesso art. 13.

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PER INCREMENTARE IL FONDO DEL SALARIO ACCESSORIO OCCORRE L’AUTORIZZAZIONE DEL NUCLEO DI VALUTAZIONE – DELIBERA CORTE DEI CONTI LIGURIA N. 39/2016

Costituzione del fondo integrativo personale non dirigente – mancata attestazione del Nucleo di valutazione – Aumento del fondo integrativo retribuzione posizione e risultato personale dirigente – mancata attestazione sussistenza dei presupposti. Le risorse derivanti da specifiche operazioni di razionalizzazioni e/o di riorganizzazioni, ovvero destinate a premiare il conseguimento di obiettivi “sfidanti”, ai sensi dell’art. 15 CCNL 1 aprile 1999 non possono “consolidarsi” e cioè considerabili come aumento acquisito e permanente per le successive tornate contrattuali. La certificazione posta in essere dal soggetto competente, che può essere alternativamente il Nucleo di valutazione o il Servizio di controllo interno, svolge, al pari di tutte le funzioni di controllo preventivo – di legittimità o di merito –, condicio iuris di legittimità per l’inserimento delle relative somme nel fondo delle risorse decentrate, costituendo, in tal modo, una fattispecie unitaria a formazione progressiva che trova la sua prima fase nell’inserimento delle risorse nel fondo e si perfeziona con l’attestazione del Nucleo di Valutazione, o del Servizio di controllo interno, della sussistenza dei requisiti di legge e contrattuali. Il mancato perfezionamento del complesso procedimento implica l’impossibilità giuridica di considerare tali risorse presenti nel fondo e, quindi, la sua illegittimità. L’art. 17 CCNL 1 aprile del 1999 consente di remunerare, con le risorse integrative stanziate ai sensi dell’art. 15, comma 5 CCNL 1 aprile 1999, anche miglioramenti che si ripetono negli anni, purché significativi e visibili, nonché la remunerazione della produttività e delle indennità di turno. L’aumento del trattamento retributivo accessorio del personale dirigente, ai sensi dell’art. 26, comma 3 CCNL 23 dicembre 1999, non può dipendere da una decisione unilaterale dell’Amministrazione che decida di riconoscere rilevanza particolare ad alcune funzioni, sia pure all’esito di processi di riorganizzazione effettivamente avviati, occorrendo che nell’atto negoziale integrativo decentrato sia espressamente riconosciuta la sussistenza di tali processi, ovvero la presenza di nuovi servizi, precedentemente non attivati. Tale funzione è assolta dalla contrattazione decentrata integrativa, la quale viene a fungere da condicio iuris di legittimità per l’inserimento delle relative somme nel fondo. Non può essere consentito l’incremento del fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato per il personale dirigenziale mediante un generico richiamo alla sussistenza delle condizioni contenuto in una deliberazione di indirizzo in quanto occorre verificare, dirigente per dirigente, quanto siano effettivamente aumentate le competenze e responsabilità di una o più posizioni riorganizzate, al fine di evitare un aumento generalizzato delle medesime.

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SI A CONVENZIONI E GESTIONI ASSOCIATE PER GLI ENTI CHE HANNO SFORATO IL PATTO MA SENZA AUMENTO DI SPESA

Il Sindaco del Comune di Novoli illustra che l’Ente è attualmente privo della figura dirigenziale di responsabile del Settore servizi finanziari per problemi che non consentiranno la presenza in servizio per tutto l’intero anno 2016; che non è stato rispettato il patto di stabilità interno per l’esercizio 2015 e pertanto è preclusa l’assunzione di personale e che non vi sono altre figure apicali in grado di ricoprire il predetto ruolo di responsabile del Settore servizi finanziari.

Il quesito specifica, inoltre, che l’introduzione normativa del cosiddetto “bilancio armonizzato” richiede un’indubbia preparazione e competenza e che, in ordine alla possibilità di stipulare convenzioni tre enti locali, occorre distinguere tra quelle previste dall’art. 14 del CCNL 2004 per l’utilizzo a tempo parziale di un dipendente di altra amministrazione e le convenzioni ex art. 30 del Tuel che consentono di gestire in forma associata interi servizi e per le quali, in caso di sforamento del patto di stabilità interno, non sussistono espliciti divieti anche perché i rapporti intercorrono solo tra amministrazioni pubbliche.

Il Sindaco richiede, quindi, il parere della Sezione per accertare se, nel caso di mancata osservanza del patto di stabilità interno, sia legittimo avvalersi, ai sensi dell’art. 30 del Tuel, di una gestione associata di un servizio con un altro comune unificando i due uffici e fruendo dell’attività dell’altro ente individuato quale capo convenzione.

Considerato in

DIRITTO

Preliminarmente, occorre valutare i profili di ricevibilità e di ammissibilità della richiesta di parere alla luce dell’art. 7, comma 8, della L. 05/06/2003 n. 131 che conferisce a Regioni, Comuni, Province e Città Metropolitane la possibilità di richiedere alle Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei Conti pareri in materia di contabilità pubblica.

In relazione ai profili di ricevibilità, la Sezione osserva che la richiesta di parere è stata sottoscritta anche dal Sindaco organo rappresentativo dell’Ente e pertanto legittimato a promuovere l’attività consultiva della Corte dei Conti.

Non può ritenersi di ostacolo alla ricevibilità della richiesta la mancanza nella Regione Puglia del Consiglio delle Autonomie Locali che, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, nel testo introdotto dalla L. Cost. 18/10/2001 n. 3, deve essere disciplinato dallo Statuto di ogni Regione, quale organo di consultazione tra la Regione stessa e gli Enti locali.

Il Consiglio delle Autonomie Locali, se istituito, è quindi destinato a svolgere, secondo il dettato dell’art. 7, comma 8°, della L. n. 131/2003, una funzione di filtro per le richieste di parere da sottoporre alle Sezioni Regionali di Controllo.

Invero, l’art. 45 dello Statuto della Regione Puglia, approvato con L. R. 12/05/2004 n. 7, ha previsto l’istituzione del Consiglio delle Autonomie Locali e con la successiva L. R. del 26/10/2006 n. 29 sono state disciplinate le modalità di composizione, elezione e competenze.

Tuttavia, rilevato che allo stato attuale il Consiglio delle Autonomie Locali non è tuttora operante, la Sezione ritiene ricevibile la richiesta di parere.

Accertata la ricevibilità della richiesta, occorre ora analizzarne i profili di ammissibilità.

La Corte dei Conti, secondo il disposto dell’art. 7, comma 8°, della L. n. 131/2003, può rendere pareri in materia di “contabilità pubblica”.

Il Collegio evidenzia che, le Sezioni Riunite in sede di Controllo, con la deliberazione n. 54 depositata in data 17/11/2010 resa in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, comma 31, del D. L. 1/07/2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3/08/2009, n. 102, condividendo l’orientamento già espresso dalla Sezione delle Autonomie con la deliberazione n. 5 del 17/02/2006, hanno affermato che la nozione di “contabilità pubblica” strumentale alla funzione consultiva deve assumere un ambito limitato alle normative ed ai relativi atti applicativi che disciplinano l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina inerente la gestione dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la gestione delle spese, la disciplina del patrimonio, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli.

Le Sezioni Riunite hanno, inoltre, sottolineato che il concetto di contabilità pubblica consiste nel sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici.

Per consolidato orientamento delle Sezioni Regionali di Controllo, fatto proprio anche da questa Sezione, la funzione consultiva assegnata alla Corte dei conti deve trattare ambiti ed oggetti di portata generale e non fatti gestionali specifici; non può riguardare provvedimenti già formalmente adottati non potendo tramutarsi in una verifica postuma di legittimità e non può interferire con le funzioni assegnate ad altre Magistrature o alla stessa Corte.

Il quesito sottoposto all’esame di questa Sezione, da ricondursi a caratteri di generalità ed astrattezza, appare diretto ad accertare se sia consentito ad un ente locale che non ha rispettato il patto di stabilità interno e che, pertanto, nell’esercizio successivo incorre nel divieto di assunzione di personale, di stipulare con altro ente locale una convenzione secondo la disciplina dettata dall’art. 30 del Tuel e che abbia ad oggetto la gestione associate del Settore dei servizi finanziari.

Il Collegio evidenzia che il quesito che, si ribadisce sarà trattato in termini generali ed astratti, rientra nell’alveo della materia di contabilità pubblica poiché diretto ad esaminare l’esatto ambito di applicazione del regime sanzionatorio conseguente all’inosservanza delle disposizioni in materia di patto di stabilità interno che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

Preliminarmente, la Sezione ritiene opportuno richiamare il proprio orientamento con il quale si è sottolineato che le convenzioni tra enti locali, disciplinate dall’art. 30 del Tuel, costituiscono forme associative peculiari espressione di “un’amministrazione per consenso” ed aventi la finalità di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi. La stipula delle convenzioni deve essere, quindi, diretta a garantire la razionalizzazione dei servizi degli Enti partecipanti ed il conseguimento di una maggiore efficienza (Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazioni n. 1/PAR/2007, n. 32/PAR/2008 e n. 55/PAR/2010).

Ai sensi del comma 4 dell’art. 30 del Tuel, le convenzioni possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti

all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.

L’art. 1, comma 707, della L. 28/12/2015 n. 208 (legge stabilità 2016) conferma l’applicazione delle sanzioni conseguenti al mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2015 previste dall’articolo 31 della L. 12/11/2011 n. 183 e, tra queste, il divieto, posto dal comma 26, lett. d) della predetta norma, di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto.

Ad avviso del Collegio, considerata l’ampia formulazione della disciplina normativa che esclude espressamente la possibilità di assumere personale “a qualsiasi titolo” e con “qualsivoglia tipologia contrattuale”, deve ritenersi che, per gli enti locali che non hanno rispettato il patto di stabilità interno, il legittimo ricorso a forme di convenzione previste dall’art. 30 del Tuel, deve necessariamente tener conto del conseguente regime sanzionatorio applicabile a tali enti, al fine di evitare eventuali elusioni o violazioni delle disposizioni normative sanzionatorie e pertanto, l’adesione alla convenzione non dovrà comportare alcun aggravio per spesa del personale per l’ente che, nell’esercizio precedente, non ha osservato il patto di stabilità interno.

Questa Sezione, conformemente all’orientamento reso da altre Sezioni, ritiene, quindi, che, nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, debba accogliersi un’interpretazione estensiva del concetto di “assunzione di personale” non riconducibile soltanto alla nozione di costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione inadempiente, ma estesa al più generale divieto di incremento della spesa di personale conseguente all’utilizzo in concreto, a qualunque titolo, di altro lavoratore (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 879/PAR/2010; n. 293/PAR/2012; Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 2/2016/PAR).

Infatti, come rilevato dalla Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia, con la deliberazione n. 293/PAR/2012, quando un ente locale che ha violato il patto di stabilità interno ricorre allo strumento della convenzione per la gestione associata di servizi e/o funzioni non può comunque derogare al divieto di assunzioni di personale “a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipologia contrattuale…..“ e “d’altra parte…….la convenzione per la gestione associata di servizi e/o funzioni non implica necessariamente il ricorso a “nuovo personale”, bensì potrebbe anche essere attuata dando vita ad una semplice forma associativa con la creazione di uffici comuni che operano con il personale distaccato dagli enti partecipanti”.

Deve, inoltre, aggiungersi che, il costante orientamento legislativo appare, negli ultimi anni, particolarmente incentrato, in via generale, su misure di contenimento della spesa del personale, anche nelle ipotesi non connesse alla mancata osservanza del patto di stabilità, come si rileva, da ultimo, dalla disposizione contenuta nell’art. 14, comma 31 quinquies, del D. L. 31/05/2010 n. 78 convertito dalla L. 30/07/2010 n. 122 ed introdotta dall’art. 1, comma 450, della L. 23/12/2014 n. 190, che prevede, nell’ambito dei processi associativi obbligatori per i comuni di minori dimensioni, che le spese di personale e le facoltà assunzionali sono considerate in maniera cumulata fra gli enti coinvolti, garantendo forme di compensazione fra gli stessi, fermi restando i vincoli previsti dalle vigenti disposizioni e l’invarianza della spesa complessivamente considerata.

Si rammenta, infine, come peraltro rilevato nella richiesta di parere, che la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto, sussistente un’equivalenza sostanziale tra la stipula di convenzioni ex art. 14 del c.c.n.l. del 22 gennaio 2004 e le altre fattispecie nelle quali si realizzano nuove assunzioni, in quanto l’ente, anche nel primo caso, si avvantaggia, comunque, di un incremento oneroso delle prestazioni lavorative (Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 31/2016/PAR; Sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione n. 153/2015/PAR).

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