PIU’ FLESSIBILITA’ PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI A SOGGETTI IN QUIESCENZA – FUNZIONE PUBBLICA CIRCOLARE N. 4/2015

L’articolo 17, comma 3, della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, ha ulteriormente modificato l’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di conferimento di incarichi e cariche in organi di governo a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.

In particolare, l’ambito di applicazione del limite annuale di durata e del divieto di proroga o rinnovo è stato ristretto agli incarichi dirigenziali e direttivi. Per gli incarichi di studio o consulenza, nonché per le cariche in organi di governo delle amministrazioni e degli enti da esse controllate, detto limite non è più operante, ferma restando la gratuità.

Anche a seguito della suddetta modifica normativa, numerose amministrazioni hanno rivolto al Dipartimento della funzione pubblica specifici quesiti rispetto ai quali la presente circolare fornisce chiarimenti. Le indicazioni riportate integrano quelle già contenute nella circolare n. 6 del 2014, adottata a seguito delle modifiche apportate alla disciplina in materia dall’ articolo 6, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.

2. Efficacia della disciplina nel tempo

L’eliminazione del limite annuale e del divieto di proroga o rinnovo riguarda gli incarichi di studio o di consulenza e le cariche di governo conferiti successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, ovvero a partire dal 28 agosto 2015[1].

Ove, prima della data indicata, in applicazione del suddetto limite, siano stati conferiti incarichi di durata annuale o inferiore all’anno, essi mantengono ovviamente efficacia fino alla naturale scadenza. Anche prima della scadenza, le amministrazioni potranno eventualmente revocarli e conferirli nuovamente, nel rispetto della relativa procedura, per una durata superiore.

3. Soggetti interessati

Il divieto si applica a tutti i soggetti che rientrano nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o in quello del conto economico consolidato dell’Istat: quindi anche a enti aventi forma di società o fondazione, nonché alle camere di commercio.

È bene ricordare altresì che, per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali e direttivi e le cariche in enti, l’ambito di applicazione del divieto è più ampio rispetto al novero delle amministrazioni nominanti, in quanto comprende anche enti e società controllati dalle pubbliche amministrazioni. Ne consegue che sono sottoposte al divieto, tra l’altro, le nomine in organi di fondazioni controllate dalle amministrazioni stesse, anche se non comprese nei suddetti elenchi.

In assenza del requisito del controllo, peraltro, il divieto non opera nei confronti delle nomine a incarichi e cariche in enti o società. Ne consegue, tra l’altro, che esso non opera nei confronti delle nomine in organizzazioni e associazioni internazionali o di loro articolazioni nazionali che, in ragione delle loro caratteristiche di autonomia o indipendenza dalle autorità nazionali, non siano sottoposte al controllo di queste ultime.

Come già indicato nella circolare n. 6 del 2014, per “lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza” si intendono esclusivamente i lavoratori dipendenti e non quelli autonomi.

4. Incarichi vietati

Per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali, è escluso che essi possano essere conferiti a soggetti collocati in quiescenza che hanno compiuto i 65 anni, cioè che hanno raggiunto il limite di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici. Come già chiarito nella circolare n. 6 del 2014, infatti, la possibilità di attribuire incarichi dirigenziali a soggetti che abbiano raggiunto i limiti di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici era già esclusa dall’articolo 33, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223: si tratta di una disposizione normativa speciale che continua a trovare applicazione. Rimane ferma la possibilità di conferire incarichi dirigenziali, ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, a soggetti che, pur collocati in quiescenza, non abbiano raggiunto il suddetto limite di età.

La citata disposizione del decreto-legge n. 223 del 2006 non riguarda invece gli incarichi direttivi (tra i quali rientra quello di direttore scientifico), per i quali rimane ferma l’applicazione dell’articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 e che, pertanto, possono essere conferiti anche oltre il limite dei 65 anni, purché gratuiti e per una durata non superiore a un anno.

Rientra nell’ambito di applicazione del divieto la carica di presidente delle Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. Peraltro, trattandosi di un organo di governo di ente pubblico, a seguito della novella, i soggetti in quiescenza possono essere nominati alla suddetta carica anche per una durata superiore a un anno, ferma restandone la gratuità.

Il divieto riguarda anche le collaborazioni e gli incarichi attribuiti ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell’articolo 90 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Come già osservato nella circolare n. 6 del 2014, infatti, in assenza di esclusioni al riguardo, devono ritenersi soggetti al divieto anche gli incarichi dirigenziali, direttivi, di studio o di consulenza assegnati nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici.

5. Incarichi consentiti

Tra le ipotesi di incarichi o collaborazioni che non ricadono nei divieti di cui alla disciplina in esame, oltre a quelle già chiarite nella circolare n. 6 del 2014, vanno segnalate le seguenti.

Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni a titolo gratuito, con il limite annuale per gli incarichi dirigenziali e direttivi, possono essere conferiti a soggetti in quiescenza indipendentemente dalla finalità, quindi anche al di fuori dell’ipotesi di affiancamento al nuovo titolare dell’incarico o carica.

Il divieto prescritto non si applica agli incarichi di direttore musicale, direttore del coro e direttore del corpo di ballo, atteso che essi non rientrano in nessuna delle ipotesi contemplate dalla legge, anche in considerazione della specifica natura delle relative prestazioni.

Come già chiarito nella circolare n. 6 del 2014, sono esclusi dal divieto gli incarichi di docenza, quindi anche i contratti per attività di insegnamento di alta qualificazione, stipulati ai sensi dell’articolo 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

Il divieto non si applica neanche alla nomina dei componenti di organi o collegi di garanzia, quali i comitati etici, inclusi i comitati dei garanti istituiti ai sensi dell’articolo 5, comma 14, del decreto legislativo n. 517 del 1999. Analogamente, come chiarito nella circolare n. 6 del 2014, sono esclusi dal divieto gli incarichi in organi consultivi, quali gli organi collegiali delle istituzioni scolastiche.

Link al documento: http://www.funzionepubblica.gov.it/TestoPDF.aspx?d=37851

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L’AMMINISTRATORE DI SOCIETA’ PARTECIPATA CHE SBAGLIA PAGA DI TASCA SUA – SENTENZA CORTE DEI CONTI LAZIO N. 279/2015

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 14 maggio 2014, la Procura regionale ha convenuto in giudizio il signor Apostolico per sentirlo condannare in favore del Comune di Latina, al pagamento della somma di €. 662.966,64, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio per la condotta tenuta quale Presidente pro-tempore del Consiglio di Amministrazione della Terme di Fogliano s.p.a., società partecipata in house del Comune di Latina.

In particolare, la vicenda ha riguardato l’affidamento in convenzione da parte del Comune di Latina e della società partecipata ad altra società italiana Condotte d’Acqua, della realizzazione di uno stabilimento termale e, successivamente, della realizzazione di due nuovi pozzi per la ricerca di acque termali.

Negli atti convenzionali del 25 settembre 1990 e del 8 agosto 1996 veniva stabilito, tra l’altro, che, nell’ipotesi in cui non fosse stata possibile la realizzazione dello stabilimento termale o non si fossero reperiti i finanziamenti necessari, la società Terme di Fogliano avrebbe rimborsato all’altra società appaltatrice spese ed oneri fino alla concorrenza massima di lire 5.000.000.000 (€. 2.582.284,50).

In data 31 gennaio 2000, successivamente alla consegna dei lavori, la società Condotte d’Acqua richiedeva alla committente il pagamento della somma di lire 7.235.452.164: riferisce la Procura che, ignorando il fatto che i predetti finanziamenti non erano stati concessi, la società appaltatrice ebbe a richiedere la somma indicata pari all’intero importo dei lavori eseguiti.

La circostanza evidenziata della mancanza dei finanziamenti avrebbe, invece, legittimato l’Amministrazione ad erogare le somme per i lavori effettuati nei limiti convenzionalmente stabiliti.

Riferisce il Requirente che, l’Apostolico, nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società Terme di Fogliano, senza informare l’organo collegiale né il Collegio dei sindaci, con lettera non intestata né protocollata in uscita, ma solo registrata in data 31 marzo 2000 al protocollo della società Condotte d’Acqua, prendendo atto di quanto da quest’ultima richiesto- cito testualmente: “riconoscendo formalmente il lavoro da Voi eseguito e per il quale Vi siamo debitori”-, riconosceva l’intero importo dei lavori realizzati e dettagliatamente descritti, in spregio di quanto contenuto nella clausola convenzionale.

Successivamente, sulla base di detto riconoscimento di debito, la società Condotte d’Acqua, ha ottenuto dal Tribunale di Latina un decreto ingiuntivo per €. 4.571.184,42 portato ad esecuzione anche perché l’attuale amministratore della società Terme di Fogliano – Avv. Di Muro-, non essendone venuto a conoscenza, ha potuto proporre soltanto opposizione tardiva.

La Procura ha ritenuto che il convenuto sia responsabile, perlomeno, di un danno corrispondente alla percentuale di un terzo della somma di €. 1.988.899,92 ( cioè appunto €. 662.966,64), pari alla differenza tra la somma di cui al decreto ingiuntivo e quella prevista e concordata tra le parti per il caso in cui non fossero stati ottenuti i finanziamenti previsti.

In sostanza, l’Ufficio Requirente ritiene che sussista la colpa grave dell’Apostolico, nei limiti di una quota percentuale dl danno prodotto, per aver riconosciuto l’intero importo del debito con quella nota che ha consentito alla società Condotte d’Acqua di ottenere il decreto ingiuntivo per l’importo superiore indebito.

Con memoria depositata per la scorsa udienza, il convenuto ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione di questa Corte, essendo l’Apostolico presidente di una società di diritto privato; ha eccepito la prescrizione dell’azione di responsabilità, indicando come dies a quo di decorrenza l’esecutività del decreto ingiuntivo dell’ottobre 2003, la litispendenza, stante l’esistenza, in grado di appello, di un giudizio civile risarcitorio intentato dalla società Terme di Fogliano in liquidazione contro l’odierno convenuto; ancora l’inammissibilità della domanda in quanto nessuno esborso è stato effettuato dalla società Terme di Fogliano e/o dal Comune di Latina, per cui mancherebbe il danno concreto ed attuale.

Ha eccepito, inoltre, la nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendi e la confusione e sovrapposizione operata dalla Procura tra società partecipata e il Comune di Latina.

Ha, ancora, rappresentato che sui medesimi fatti vi è stato un pronunciamento dell’A.G. penale che ha prosciolto dal reato di truffa il convenuto che si è limitato a pagare i lavori realmente eseguiti, e che il danno derivante dal decreto ingiuntivo non opposto deriva direttamente dalla sua sparizione, non imputabile al convenuto, ma ai successivi amministratori della società partecipata.

Alla scorsa udienza, questa Corte, rilevato che la procedura esecutiva sui beni immobili della società Terme di Fogliano era stata sospesa dal Giudice dell’esecuzione, in attesa della definizione del giudizio civile in merito alla legittimità dell’opposizione operata avverso il decreto ingiuntivo, disponeva incombenti istruttori a carico della Procura regionale volti all’acquisizione di notizie in merito alla definitività della sentenza di appello che aveva riconosciuto la legittimità dell’ingiunzione disposta e, quindi, in merito alla ripresa della procedura esecutiva ed, in particolare, all’eventuale corresponsione di somme di denaro da parte della società Terme di Fogliano alla società Condotte d’Acqua.

Con nota del 7 gennaio 2015, la società in liquidazione Terme di Fogliano s.p.a. ha confermato l’attuale situazione di sospensione della procedura esecutiva disposta dal Giudice dell’esecuzione in pendenza del procedimento civile avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo, procedimento che si è concluso con il passaggio in giudicato della sentenza, in mancanza della relativa impugnazione nei termini di legge, per cui allo stato nulla osta alla ripresa della medesima procedura esecutiva.

In ogni caso, ha comunicato di non aver effettuato ancora pagamenti nei confronti della società creditrice.

Per l’odierna udienza la difesa ha insistito sul difetto di giurisdizione e sull’inammissibilità della domanda in assenza di danno concreto ed attuale, mentre, nel merito, ha ribadito che l’eventuale esborso di denaro è ricollegabile alla mancata tempestiva opposizione al decreto ingiuntivo dovuta alla completa disorganizzazione dell’Ufficio protocollo comunale.

Con riguardo, poi, alla lettera del 31 marzo 2000 a firma dell’Apostolico che la Procura ha assunto a base delle sue contestazioni, la difesa ha nuovamente ribadito che, a quella data, i lavori era stati effettivamente svolti e nulla ostava al loro integrale pagamento. Solo successivamente, si sono verificate le condizioni che legittimavano un pagamento non superiore ai cinque miliardi di lire, per cui, quando a distanza di tre anni si è addivenuti alla richiesta di decreto ingiuntivo, solo l’opposizione tempestiva al medesimo avrebbe impedito l’integrale pagamento, pur in assenza della lettera dell’Apostolico, per cui la difesa ha insistito per il proscioglimento del convenuto.

Alla pubblica udienza, il Pubblico Ministero ha confermato la liquidità del credito erariale, essendo il pignoramento immobiliare già avvenuto, ed essendo questo il motivo dello stato di liquidazione della società Terme di Fogliano, per cui il danno è certo ed attuale. L’unica novità al momento è la possibile transazione della controversia, per cui, nell’ipotesi in cui questa Corte non ritenesse ancora attualizzato il danno, il Pubblico Ministero ha chiesto che venga disposta la sospensione del giudizio in attesa della composizione della lite che porterà ad una eventuale riduzione dell’addebito e, quindi, ad una nuova quantificazione del danno.

La difesa si è opposta a qualunque sospensione del giudizio e ha confermato la richiesta di inammissibilità della citazione per mancanza di un danno concreto ed attuale, non essendo ancora intervenuto alcun pagamento e non potendo essere sicura la riassunzione della procedura esecutiva ad opera del creditore – Comune di Latina- che non ha mai ritenuto l’Apostolico responsabile di un danno all’erario. Ha precisato, infatti, che il procedimento civile risarcitorio è stato azionato dal Collegio sindacale e non dal Comune e, già il Giudice di primo grado ha ritenuto l’Apostolico esente da responsabilità per il danno sofferto dall’ente locale. Per il resto, ha confermato le richieste contenute nella memoria scritta, concludendo per il proscioglimento del convenuto.

DIRITTO

Il Collegio ritiene che gli elementi istruttori acquisiti consentano di poter giungere alla definizione della controversia.

Preliminarmente, deve essere risolta l’eccezione di giurisdizione fondata sulla natura privata della società Terme di Fogliano s.p.a. che avrebbe subito un danno il cui accertamento sarebbe rimesso al Giudice ordinario.

Con riguardo alla consistente perdita inflitta al patrimonio della società Terme di Fogliano, deve precisarsi che la stessa persona giuridica, essendo partecipata dal Comune di Latina e in minima parte dalla Provincia di Latina, è una società pubblica in house, in quanto in possesso dei tre requisiti che la giurisprudenza di legittimità (cfr, SS.UU. 25 novembre 2013 n. 26283 e n. 7177 del 26 marzo 2014) ha individuato per qualificare la società di gestione di servizi pubblici, i cui soci sono esclusivamente soggetti pubblici, l’attività esercitata dalla società è rivolta essenzialmente e prevalentemente a favore dei soci e il controllo sulla medesima è corrispondente a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri uffici.

A tal proposito le SS.UU. hanno affermato che “… le società in house hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munusprivato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall’ente pubblico. L’analogia tra le due situazioni non giustificherebbe una conclusione diversa nei due casi, né quindi un diverso trattamento in punto di responsabilità e di relativa giurisdizione”.

Se questa è la natura della società Terme di Fogliano, peraltro non disconosciuta dalle parti di causa, la stessa può essere configurata come un’articolazione organizzativa dello stesso ente territoriale dal quale ha ricevuto l’affidamento di specifici servizi pubblici, per cui l’azione di responsabilità esercitata dalla Procura regionale nei confronti del suo amministratore che ha inferto un danno al suo patrimonio non differisce da quella esercitabile sui funzionari dell’ente territoriale che abbiano cagionato il danno all’ente pubblico, dacchè ne consegue che la condotta del convenuto è soggetta alla verifica giurisdizionale di questa Corte, con reiezione della relativa eccezione prodotta dalla difesa.

Con riferimento, poi, all’eccepita inammissibilità della domanda per l’assenza di danno concreto ed attuale, il Collegio afferma sussistente il danno erariale contestato, in quanto, con la fine del processo civile che ha riconosciuto la legittimità dell’ingiunzione disposta a favore del creditore nei confronti della società in liquidazione Terme di Fogliano, l’ingiunzione, fondata su prova scritta e resa esecutiva con decreto, ai sensi degli articoli 647 e 650 c.p.c., è titolo idoneo per promuovere l’esecuzione forzata, ai sensi dell’articolo 474 c.p.c., e, come tale, il diritto di credito sotteso non può non essere che certo, liquido ed esigibile.

La società Terme di Fogliano è, quindi, dopo la pausa di sospensione disposta dal Giudice dell’esecuzione in attesa del passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto la tardività dell’opposizione, nuovamente soggetta alla procedura espropriativa, peraltro già avviata, sui propri beni immobili fino alla concorrenza dell’intero importo indicato dal decreto ingiuntivo, pari a €. 3.639.713,02, oltre oneri di legge, per cui l’eccezione di non attualità del credito erariale è assolutamente priva di fondamento giuridico.

Né si può giungere a conclusioni diverse soltanto in previsione di una eventuale transazione annunziata ma  di cui nulla allo stato si conosce.

Di questa voce dannosa, la Procura erariale ha imputato all’odierno convenuto a titolo di responsabilità amministrativa una quota ridotta, pari esattamente al trenta per cento dell’importo differenziale tra tale somma e quella convenzionalmente stabilita tra le parti, per il caso in cui non si fossero realizzate le condizioni per ottenere il finanziamento dell’intera operazione. Appare, quindi, evidente che correttamente l’attore ha limitato la chiamata a titolo di responsabilità amministrativa dell’Apostolico, avendo ritenuto che la parte più consistente dell’evento dannoso sia da attribuire ad altri soggetti che, pur non essendo stato possibile individuare, hanno comunque concorso alla realizzazione della fattispecie. Tutto ciò è sufficiente per respingere le deduzioni difensive in ordine all’individuazione di altri apporti causali nella realizzazione dell’evento dannoso di cui, comunque, l’attore ha tenuto conto nella richiesta risarcitoria.

Deve, altrettanto, respingersi l’eccezione di litispendenza sollevata dal convenuto in relazione al fatto di essere stato già citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina dalla società Terme di Fogliano per i danni conseguenti alla medesima condotta contestata dalla Procura erariale, giudizio che si è concluso favorevolmente per l’Apostolico in primo grado e attualmente pendente in appello.

Come è noto, il rapporto tra azione civile risarcitoria promossa dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria e l’azione di responsabilità amministrativa contabile sui medesimi fatti dannosi non si pone in termini di alternatività della tutela per evitare contraddittorietà di giudicati, ma solo di proponibilità della domanda, nel senso che, solo laddove il credito erariale sia stato integralmente soddisfatto, non vi può essere spazio per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa che deve essere dichiarata improcedibile. (giurisprudenza consolidata, cfr., da ultimo, sez. I appello di questa Corte n. 178/2015).

Nella fattispecie, l’attuale pendenza del procedimento civile di appello comporta che l’azione civile di danno non è pervenuta all’integrale recupero delle somme di denaro, per cui l’azione esercitata dalla Procura contabile è pienamente legittima.

Va altrettanto respinta l’eccezione di prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa che la difesa fa decorrere dalla data di esecutività del decreto ingiuntivo, datato ottobre 2003.

Al riguardo, anche con riferimento all’altra eccezione di nullità della citazione avanzata dalla difesa per aver l’attore sovrapposto la società Terme di Fogliano al Comune di Latina con contraddittoria individuazione della fattispecie dannosa, va precisato che il danno sofferto dalla società Terme di Fogliano, essendo quest’ultima un’articolazione organizzativa del Comune di Latina, che alla medesima ha affidato lo svolgimento di alcuni servizi pubblici, è in effetti un danno subito dallo stesso ente territoriale, per cui tutti gli atti posti in essere in nome e per conto della società devono considerarsi come posti in essere per conto del Comune di Latina. E’ bene pure precisare che l’affidamento della concessione dei lavori alla società Condotte d’Acqua è stata sottoscritta dal Comune di Latina nel 1990, mentre il successivo atto integrativo del 1996 ha individuato il soggetto sottoscrittore nella società Terme di Fogliano, il cui capitale sociale era allora detenuto in via totalitaria dal Comune di Latina, per cui l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società partecipata vede come destinatario del risarcimento il Comune di Latina, che è il soggetto passivo depauperato dalla condotta colpevole del convenuto.

E così, anche a voler prescindere dalla azione civile di danno intentata dalla società Terme di Fogliano, che è del novembre 2007, occorre considerare, come atto interruttivo della prescrizione, anche l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo della società Terme di Fogliano del febbraio 2004, esitata nella pronuncia del Tribunale di Latina n. 203/2007, confermata dalla seconda sezione civile della Corte di appello di Roma del 7 aprile 2014 .

Venendo così alla trattazione di merito, le risultanze istruttorie come pure gli esiti dei vari procedimenti civili e penali instaurati e quasi tutti definiti inducono il Collegio a ritenere fondata l’azione della Procura erariale.

Quest’ultima ha, infatti, chiamato a rispondere il convenuto Apostolico nei limiti di un terzo dell’intero danno sofferto dalla società Terme di Fogliano e, quindi, dal Comune di Latina.

L’individuazione siffatta della responsabilità amministrativa ha inteso correttamente tener conto dello svolgersi concreto dei fatti per cui, a fronte di un danno complessivo pari alla differenza tra l’importo del decreto ingiuntivo e la somma che avrebbe dovuto essere corrisposta alla società Condotte d’Acqua sulla base degli atti convenzionali sottoscritti garantiti da apposita polizza fideiussoria, la Procura ha ritenuto di imputare una quota pari ad un terzo del danno al convenuto Apostolico per la condotta gravemente colposa e superficiale, consistente nell’aver sottoscritto ed inviato una nota, al di fuori dei canali ufficiali di pubblicazione e trasmissione, alla società creditrice, riconoscendo un debito di somma di denaro per lavori eseguiti di gran lunga superiore a quelli massimi convenzionalmente pattuiti in caso di mancata erogazione dei finanziamenti, o, comunque, di impossibilità di realizzare lo stabilimento termale.

La difesa del convenuto ha prodotto una serie di documenti dai quali si evince che l’intera somma da corrispondere alla società Condotte d’Acqua contenuta nel decreto ingiuntivo era dovuta per i lavori realmente eseguiti dalla medesima, lavori la cui consistenza era anche a conoscenza sia dei funzionari comunali che degli stessi organi amministrativi e di controllo della società Terme di Fogliano, ma tutto ciò non è sufficiente e non giustifica il superamento del tetto massimo di copertura degli oneri di spesa, come fissato negli atti convenzionali sottoscritti dalle parti.

In sostanza, al di là dei lavori realmente eseguiti e degli oneri economici sostenuti, gli atti convenzionali richiedevano di attendere la definitiva approvazione ed erogazione dei finanziamenti per superare il limite dei cinque miliardi di lire fissato come copertura massima della spesa che la società partecipata e il Comune di Latina si erano impegnati a sostenere nei confronti della società Condotte d’Acqua.

A fronte di tutto ciò, non si comprendono i motivi che hanno spinto il convenuto, nella sua qualità di presidente pro-tempore del Consiglio di Amministrazione della società termale, a redigere e sottoscrivere la nota, senza data e protocollo, ma giunta in data 31 marzo 2000 alla sede della società Condotte d’Acqua, nella quale venivano riconosciuti integralmente tutti i lavori sostenuti dalla società -“ e per il quale Vi siamo debitori”-.

Non si condividono le argomentazioni della difesa circa la conoscenza degli oneri da parte di tutti gli organi della società e degli enti pubblici per dimostrare la debenza degli stessi, come pure il fatto che i lavori erano stati certificati contabilmente con SAL e certificato finale di collaudo, in quanto tutto ciò non toglie validità alla clausola convenzionale che consentiva la liquidazione integrale delle somme dovute a lavori, solo ad avvenuta realizzazione dello stabilimento termale o, ad avvenuta erogazione dei finanziamenti, per cui, nell’ipotesi che gli stessi non fossero stati più accordati, come poi in realtà è stato, l’importo massimo di copertura degli oneri sostenuti era pari alla somma massima di cinque miliardi di lire e la società Condotte d’Acqua ne era perfettamente a conoscenza e non avrebbe potuto richiedere di più.

D’altra parte, anche le modalità concrete di redazione della nota, senza data e protocollo ufficiale della società Terme di Fogliano, la conservazione di una copia della stessa nello studio professionale del convenuto e non negli archivi della società, la mancanza di legittimazione ad effettuare un riconoscimento di debito di importo così elevato senza l’accordo e la partecipazione dell’organo collegiale dal medesimo presieduto o la informativa al Collegio sindacale, depongono chiaramente per la configurazione della colpa grave nella condotta del convenuto.

Peraltro, lo stesso giudizio penale conclusosi con sentenza del GIP del 27 dicembre 2006, pur escludendo la commissione del reato doloso di truffa, individua nella condotta dello Apostolico quegli elementi di colpevolezza e di superficialità che oggi vengono al medesimo contestati dalla Procura erariale, la quale, tra l’altro, non ha ritenuto correttamente di attribuire l’intero danno al convenuto proprio per la presenza di altri elementi concausali nella determinazione del danno, prima tra tutti la condotta di chi, sottraendo illegittimamente il decreto ingiuntivo e occultandolo, ha determinato la scadenza dei termini per proporre una valida opposizione, come pure la stessa condotta omissiva di tutti coloro che, pur essendo a conoscenza delle pretese creditorie della società Condotte d’Acqua, hanno scientemente taciuto per evitare alla medesima una rilevante perdita derivante da oneri sostenuti altrimenti non remunerabili.

Le evidenziate modalità di commissione del fatto illecito, nonchè  le altrettanto gravi responsabilità nella determinazione dell’evento dannoso a carico di soggetti rimasti fuori da questo procedimento, inducono questo Collegio a procedere ad una nuova rideterminazione del danno, anche mediante l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito, che deve essere quantificato nella minor somma di €. 100.000,00, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data dell’evento alla data di deposito della presente sentenza e agli interessi legali dal deposito della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.

PER I FONDI DEL SALARIO ACCESSORIO COSTITUITI MALE LE RISORSE VANNO SEMPRE RECUPERATE – DELIBERA CORTE DEI CONTI LOMBARDIA N. 271/2015

Premesso che

Il Sindaco del Comune di Lissone, con nota del 13 maggio 2015, ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 4 del decreto legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, nonché, in generale, i limiti alla costituzione ed alla distribuzione dei fondi per la contrattazione integrativa posti da norme di legge o del contratto collettivo nazionale.

Premette che il Ragioniere Generale dello Stato, con nota del 27 settembre 2012, ha disposto un accertamento ispettivo presso il Comune di Lissone, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera d, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle norme che regolano le competenze dei servizi ispettivi del Ministero dell’economia e delle finanze. Con successiva nota del 7 marzo 2013, il Dipartimento Ragioneria Generale dello Stato ha trasmesso la relazione sulla verifica amministrativa-contabile eseguita presso il Comune nel mese di ottobre 2012, i cui risultati hanno evidenziato una serie di presunte irregolarità in ordine, fra l’altro, alla consistenza ed all’utilizzo delle risorse per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, alla consistenza ed all’utilizzo del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato della dirigenza e ad alcuni istituti contrattuali propri del contratto dei segretari comunali. L’amministrazione comunale di Lissone ha prodotto, in data 27 giugno 2013, una relazione adducendo le argomentazioni in difesa del proprio operato, tendenti ad annullare la maggior parte delle contestazioni. Con nota del 7 novembre 2013, il MEF, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ha trasmesso le proprie valutazioni sulle controdeduzioni presentate, rimettendo eventuali determinazioni alla Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia.

L’istanza di parere richiama poi l’art. 4 del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, in particolare ove si dispone quanto segue:

– al comma 1, “gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli”;

– al comma 2, “gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno possono compensare le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1, anche attraverso l’utilizzo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa di cui al secondo e terzo periodo del comma 1 nonché di quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 16, commi 4 e 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111”;

– al comma 3, “fermo restando l’obbligo di recupero previsto dai commi 1 e 2, non si applicano le disposizioni di cui al quinto periodo del comma 3-quinquies dell’articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agli atti di costituzione e di utilizzo dei fondi, comunque costituiti, per la contrattazione decentrata adottati anteriormente ai termini di adeguamento previsti dall’articolo 65 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, che non abbiano comportato il riconoscimento giudiziale della responsabilità erariale, adottati dalle regioni e dagli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno, la vigente disciplina in materia di spese e assunzione di personale, nonché le disposizioni di cui all’articolo 9, commi 1, 2-bis, 21 e 28, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni”.

L’istanza ricorda, inoltre, come, in data 12 maggio 2014, è stata pubblicata una circolare, a firma congiunta di tre Ministri, relativa alle modalità attuative della norma sopra richiamata, nella quale, dopo aver dato atto che le disposizioni intervengono a seguito di alcune criticità connesse all’applicazione delle norme di legge e dei contratti collettivi nazionali, in sede di contrattazione integrativa, nelle regioni ed enti locali, si legge quanto segue: “Residuano, tuttavia, numerose altre criticità, segnalate al Governo anche dall’Associazione nazionale dei comuni italiani, che derivano principalmente dalla particolare complessità e stratificazione della disciplina legislativa di riferimento e di quella contrattuale – in questo come in altri comparti di contrattazione collettiva – caratterizzati peraltro dall’assenza di rinnovi. Per consentire il riordino e la semplificazione della complessiva disciplina in materia di costituzione e utilizzo dei fondi di amministrazione e fornire criteri per la corretta e uniforme attuazione di guanto previsto dal citato articolo 4 del decreto legge n. 16 del 2014, il Governo intende proporre l’immediata costituzione, presso la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di un comitato temporaneo composto dai rappresentanti delle competenti amministrazioni centrali, regionali e locali, con il compito di fornire indicazioni applicative, nei tempi più rapidi possibili, anche attraverso proposte di disposizioni normative o finalizzate alla redazione di direttive all’Aran, in materia di trattamento retributivo accessorio del personale delle regioni e degli enti locali. Nelle more della definizione delle suddette indicazioni da parte del comitato, è  rimessa agli organi di governo degli enti una prima valutazione delle modalità  attuative dell’articolo 4 del citato decreto legge, finalizzata ad assicurare la  continuità nello svolgimento dei servizi necessari e indispensabili, anche attraverso l’applicazione, in via temporanea e salvo recupero, delle clausole dei contratti integrativi vigenti, ritenute indispensabili a tal fine”.

Sempre l’istanza di parere ricorda come la Conferenza Unificata, nella seduta del 10 maggio 2014, abbia preso atto del documento concernente “Indicazioni applicative in materia di trattamento retributivo accessorio del personale di regioni ed enti locali. Articolo 4 del decreto legge 6 marzo 2014, n. 16, recante: Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi”, e che il documento contiene, fra l’altro, i seguenti chiarimenti:

– l’espressione “vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa” deve ritenersi riferita ai diversi vincoli posti dalla contrattazione collettiva nazionale e dalla normativa di fonte legislativa relativamente alla determinazione dei tetti e limiti complessivi alla costituzione dei fondi, con particolare riguardo, per quanto attiene alla cornice normativa,  all’art. 9, comma 2-bis, del decreto legge 31 maggio 2010, all’art. 76, comma 7, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 122, all’art. 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e, per quanto attiene ai vincoli contrattuali, all’art. 15 del CCNL 1 aprile 1999, all’art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 5 ottobre 2011, all’art. 32, commi 1, 2 e 7, del CCNL 22 gennaio 2004, all’art. 4, commi 1 e 2, del CCNL 6 maggio 2006, all’art. 8, commi 2 e 3, del CCNL 11 aprile 2008 ed all’art. 4, comma 2, del CCNL 31 luglio 2009. Inoltre, per quanto attiene ai vincoli contrattuali dell’area della dirigenza, all’art. 26 del CCNL del 23 dicembre 1999, all’art. 23 del CCNL 22 febbraio 2006, all’art. 4 del CCNL 17 maggio 2007, agli artt. da 16 a 19 del CCNL 22 febbraio 2010, all’art. 5 del CCNL 3 agosto 2010;

– agli enti che prima del 31 dicembre 2012 abbiano fatto un uso illegittimo del fondo, in concorrenza con le condizioni stabilite nel citato art. 4, comma 3, non è applicabile ai contratti integrativi la sanzione della nullità e della conseguente etero integrazione contrattuale, previste dal quinto periodo, del comma 3-quinques, dell’art. 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, per cui gli eventuali utilizzi illegittimi dei fondi risultano sanati;

– tutti gli enti destinatari della norma sono tenuti a verificare, fermi i termini di prescrizione legale ai fini del recupero, se i propri fondi siano stati costituiti correttamente, nel rispetto dei limiti finanziari derivanti da norme di legge o pattizie. In caso contrario, sono tenuti ad attivare le procedure di cui ai commi 1 e 2 del decreto legge 6 marzo 2014, n. 16;

– è in ogni caso esclusa, nell’applicazione dei primi tre commi dell’art. 4 in commento, la possibilità di procedere alla ripetizione dell’indebito direttamente sui dipendenti;

– le misure previste dai primi tre commi dell’art. 4 del decreto legge n. 16 del 2014 sono applicabili unilateralmente dalle amministrazioni, anche in sede di autotutela, al riscontro delle condizioni previste, nel rispetto del diritto di informazione dovuto alle organizzazioni sindacali.

La richiesta di parere premette, inoltre, che il Comune di Lissone è in regola con il patto di stabilità interno, ha rispettato la disciplina vigente nel tempo in materia di spesa e assunzioni di personale, non ha subito alcun riconoscimento giudiziale di responsabilità erariale in ordine alla violazione delle disposizioni sulla costituzione e sull’utilizzo dei fondi per il trattamento accessorio. Infine, considerato che, per quanto riguarda il Comune di Lissone, qualunque azione diretta all’applicazione dell’art. 4 del decreto legge n. 16 del 2014 deve necessariamente confrontarsi con quanto rilevato dalla Ragioneria generale dello Stato, sia in ordine all’esistenza di violazioni dei limiti finanziari, che riguardo alla misura di tali violazioni, sia per quanto riguarda la determinazione degli importi da porre a recupero, pone il primo quesito, articolato in ulteriori due. Nello specifico, chiede se:

1-a) l’inciso “fermi i termini di prescrizione legale ai fini del recupero”, contenuto nel documento del Comitato temporaneo, e riferito all’obbligo di verifica sulla regolare costituzione dei fondi, deve essere interpretato: a) con riferimento ai termini di prescrizione della responsabilità erariale (5 anni); b) con riferimento ai termini di prescrizione dell’azione di recupero dell’indebito corrisposto nell’ambito dei rapporti di lavoro (10 anni);

1-b) per quanto riguarda la decorrenza dei termini, quale atto debba essere considerato: a) l’atto di costituzione dei fondi; b) la liquidazione delle somme ai dipendenti.

Altri quesiti sono formulati tenendo conto delle conclusioni del Servizio ispettivo della Ragioneria generale dello Stato, nonché delle controdeduzioni formulate dal Comune.

Un primo riguarda l’irregolarità nella quantificazione del fondo accessorio del personale non dirigente con particolare riferimento all’irregolare incremento delle risorse ex art. 15, comma 5, del CCNL per attivazione nuovi servizi e incremento della dotazione organica.

In particolare, la Ragioneria generale dello Stato ha rilevato le seguenti criticità: per l’anno 2007, prelievo dal fondo di riserva con parere non favorevole di due dirigenti, al fine di incrementare la dotazione del fondo, e mancanza di proporzionalità fra l’incremento del fondo e lo sviluppo dei servizi; per l’anno 2008, solamente carenze documentali, ossia la mancanza dell’attestazione del Nucleo circa la congruità delle somme messe a disposizione rispetto all’incremento dei servizi.

Per questi specifici rilevi l’istanza di parere riferisce che il Comune di Lissone ha risposto con nota del 27 giugno 2013. Per quanto riguarda il fondo dell’anno 2007, con riferimento all’incremento delle risorse variabili conseguente all’attivazione di nuovi servizi, i rilievi si fondano, da un lato, sui pareri tecnici negativi espressi al momento dell’approvazione della costituzione del fondo e, dall’altro, sulla mancata dimostrazione del rispetto delle sette condizioni che l’ARAN ritiene debbano essere soddisfatte per procedere all’aumento delle risorse previste dalla disposizione in questione, codificate nel parere 076. L’istanza rileva che il parere è datato 5 giugno 2011 ed evidenzia il ritardo con la quale la questione è stata affrontata. Tale questione, prosegue, ha sempre creato innumerevoli difficoltà nel confronto con le parti sindacali e, se codificata a suo tempo, con una specifico intervento interpretativo delle norme contrattuali avrebbe sicuramente fatto chiarezza sul procedimento di finanziamento delle risorse variabili e sulle condizioni che lo rendono possibile. Ma evidentemente, precisa l’istanza, l’ARAN ha avuto necessità che si sedimentassero precedenti dottrinali, giurisprudenziali e normativi tali da rendere percorribile la strada delineata.

Premesso quanto esposto, il Comune ritiene che:

– la programmazione degli obiettivi di miglioramento della qualità/quantità dei servizi e delle prestazioni erogate sia avvenuta al momento dell’approvazione della Relazione previsionale e programmatica, prevista dall’art. 170 del d.lgs. n. 267 del 2000, strumento che recepisce le priorità declinandole sull’assetto organizzativo del Comune, ed è strettamente collegata al bilancio di previsione annuale e pluriennale, in cui si delineano gli obiettivi generali articolati per programmi e per progetti;

– le relazioni dei dirigenti documentano per ognuno degli ambiti considerati l’entità dei servizi erogati. Si tratta di documenti sintetici, ma non per questo meno significativi e probanti dell’incremento delle attività ottenuto nel corso dell’anno 2007. In alcuni casi si tratta di uno sviluppo che si realizza a seguito di azioni iniziate nel corso dell’anno precedente. Quanto alla supposta carenza di indicatori, standard e parametri di riferimento, forse, prosegue l’istanza di parere, quanto circostanziato dai dirigenti non è espresso secondo formule metodologicamente evolute, ma si tratta pur sempre di dati che dimostrerebbero la dimensione dei servizi erogati e l’impegno dei dipendenti del Comune. Evidenzia, in particolare, come se un comune incrementa in 10 anni la propria popolazione di quasi il 24%, da 35.451 (2002) a 44.064 (2012) abitanti, mantenendo e incrementando, in ogni comparto, i propri servizi, significa che la produttività del personale è aumentata in modo significativo (in particolare, nell’anno 2007 la popolazione è cresciuta di 1.146 abitanti);

– la valutazione dei risultati attesi vene riferito sia stata fatta a consuntivo dal Nucleo di valutazione (con verbale del 12 febbraio 2008 quest’ultimo avrebbe espresso parere favorevole in ordine all’incremento delle risorse variabili ex art. 15, comma 5, del CCNL ritenendo soddisfacente il livello di raggiungimento degli obiettivi, con riferimento all’art. 37, comma 3, del CCNL 22 gennaio 2004);

– i rilievi espressi dai dirigenti nell’ambito del procedimento di approvazione della deliberazione di Giunta comunale n. 437/2007, di costituzione del fondo, vengono ritenuti superati dalla citata valutazione dell’organo competente ad esprimere un giudizio di legittimità e congruità dell’incremento delle risorse variabili, ossia dal Nucleo di valutazione;

– il collegio dei revisori non ha espresso alcun rilievo di ordine contabile e finanziario sull’ipotesi di contratto decentrato, rimandando al Nucleo di valutazione ogni valutazione in merito all’incremento dei servizi.

Alla luce di quanto ora esposto, il Comune pone il secondo quesito, articolato in ulteriori tre. Chiede, nello specifico se possa costituire violazione dei limiti finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa:

2-a) per l’anno 2007, il prelievo dal fondo di riserva, quale modalità utilizzata per incrementare gli stanziamenti dei capitoli di spesa relativi al trattamento accessorio del personale dipendente. A questo proposito ritiene che l’applicazione dell’art. 4 del decreto legge n. 16 del 2014 dovrebbe riguardare solo l’eventualità della violazione dei vincoli finanziari, di origine sia legislativa che contrattuale, posti alla costituzione del fondo, non anche le modalità di gestione contabile e finanziaria degli stanziamenti occorrenti per impegnare la spesa, nel senso che l’eventuale irregolarità nella gestione del fondo di riserva non dovrebbe trovare considerazione nell’ambito della valutazione del superamento dei vincoli finanziari. Di conseguenza, dovrebbe essere irrilevante ai fini dell’eventuale recupero di somme corrisposte;

2-b) la mancanza di proporzionalità fra l’incremento del fondo e lo sviluppo dei servizi. L’istanza ricorda come la RGS parli di messa a disposizione di ingenti somme nel fondo per la produttività riconducibili ad attività riorganizzative e progettuali dell’ente. L’istanza di parere, ammesso che si tratti di violazione di limiti finanziari, chiede come si sarebbero dovute calcolare le somme da destinare alla produttività, in presenza di un incremento dei servizi e con quali criteri. E, oggi, con quale formula si potrebbero riproporzionare i termini del rapporto e recuperare la parte rimanente. Al di là di ogni formula o metodo, ad avviso del Comune si dovrebbero considerare adeguatamente i rapporti fra andamento dello sviluppo demografico, dimensione organica dell’Ente e quantità di risorse destinate a premiare la maggiore produttività, che, in anni caratterizzati da un forte incremento della popolazione residente, non ha avuto significativi riconoscimenti economici (salvo l’anno 2007, in cui l’amministrazione ha ritenuto di giudicare definitivamente consolidati i processi di incremento e sviluppo dei servizi avviati negli anni precedenti);

2-c) per l’anno 2008, la carenza, nei verbali del Nucleo di valutazione, di una esplicita valutazione di congruità dell’importo ex art. 15, comma 5, del CCNL del 31 marzo 1999. L’istanza di parere ritiene che le ragioni dell’incremento siano state documentate in modo esauriente dall’amministrazione. A tal fine richiama l’atto di indirizzo del direttore generale contenente precise scelte circa i servizi da sviluppare, l’approvazione del Piano esecutivo di gestione e del Piano dettagliato degli obiettivi, le relazioni circa la consistenza dell’incremento dei servizi erogati, la valutazione dello stato di realizzazione degli obiettivi programmati da parte del Nucleo di valutazione.

La richiesta di parere riguarda poi il rilievo di irregolarità nella quantificazione del fondo accessorio del personale dirigente con particolare riferimento alla storicizzazione delle risorse per la razionalizzazione e la riorganizzazione delle attività o destinate a specifici obiettivi di produttività e qualità ex art. 15, comma 2, del CCNL 1° aprile 1999. I rilievi della RGS hanno afferito, in questo caso, alla mancanza di un’esplicita verifica annuale, da parte del Nucleo di valutazione, delle condizioni legittimanti la messa a disposizione della somma, inserita, tra l’altro, in misura costante durante tutto il quinquennio 2007-2011.

Alla luce di quanto ora esposto, il Comune pone il terzo quesito, chiedendo se possa costituire violazione dei limiti finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa:

3) la mancanza nei verbali del Nucleo di valutazione per gli anni 2008 e seguenti (e presente, invece, nell’anno 2007) di una formula che attesti l’effettuazione preventiva della verifica annuale circa l’esistenza delle condizioni legittimanti la messa a disposizione della somma ex art. 15, comma 2, del CCNL. L’istanza ritiene che dovrebbero trovare un loro specifico credito e valore documentale, a garanzia dell’esistenza delle prescritte condizioni, i seguenti elementi, che fornirebbero la prova dell’utilizzo di tali risorse per le finalità stabilite dalla norma contrattuale: l’approvazione per tutti gli anni dal 2007 al 2011 sia del Piano esecutivo di gestione che del Piano dettagliato degli obiettivi, la certificazione da parte del Collegio dei revisori dei conti della compatibilità economico-finanziaria dell’ipotesi di accordo decentrato, la verifica annuale compiuta dal Nucleo di valutazione circa lo stato di attuazione degli obiettivi approvati dall’amministrazione, assegnati ai vari settori organizzativi.

La richiesta di parere indulge poi sull’irregolare incremento del fondo dirigenti previsto dall’art. 26, comma 3, del CCNL 23 dicembre 1999, e, in particolare, sulla stabilizzazione delle risorse per l’attivazione di nuovi servizi. Il rilievo ispettivo è incentrato sull’incremento che l’amministrazione avrebbe disposto in ordine alla quantificazione delle risorse dell’anno 2006, ai sensi dell’art. 26, comma 3, del CCNL del 23 dicembre 1999, pari a € 149.294. Secondo il Comune l’orientamento della RGS si fonda su un’errata formulazione del dispositivo della determina n. 630 del 24 maggio 2007, a firma dell’allora segretario generale: da una interpretazione letterale sembrerebbe che il fondo 2006, destinato alla retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente, sia stato aumentato, rispetto all’anno precedente, di € 149.294, somma consolidata negli anni successivi. Ma, precisa l’istanza di parere, l’interpretazione è errata perché rispetto al 2005 e al 2004, l’aumento è stato di soli € 14.063, giustificato dallo sviluppo dei servizi di quell’anno (il dato corretto viene indicato come noto anche alla RGS perché rilevabile dal conto annuale del personale riferito ai medesimi anni).

Alla luce di quanto sopra esposto, il Comune pone il quarto quesito, chiedendo se possa costituire violazione dei limiti finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa:

4) l’integrazione nella misura di € 14.063 del fondo, a partire dall’anno 2004, in presenza delle seguenti condizioni: l’approvazione per tutti gli anni in questione sia del Piano esecutivo di gestione che del Piano dettagliato degli obiettivi, la certificazione da parte del Collegio dei revisori dei conti della compatibilità economico-finanziaria dell’ipotesi di accordo decentrato, la verifica annuale compiuta dal Nucleo di valutazione circa lo stato di attuazione dei programmi e degli obiettivi approvati dall’amministrazione comunale assegnati ai vari settori organizzativi.

Infine, posto che il comma 2 dell’articolo 4 del decreto legge n. 16 del 2014, testualmente prevede che “gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno possono compensare le somme da recuperare di cui al primo periodo del comma 1, anche attraverso l’utilizzo dei risparmi effettivamente derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa di cui al secondo e terzo periodo del comma 1, nonché di quelli derivanti dall’attuazione dell’articolo 16, commi 4 e 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111”, il Comune pone un quinto quesito, chiedendo:

5) se le spese di personale che l’ente ha risparmiato negli anni, al netto delle somme che risultano dall’applicazione degli obblighi derivanti dalle previsioni contenute nell’art. 1, comma 557, legge n. 269 del 2006 ed in quelle contenute nell’art. 9, comma 2-bis, del decreto legge 78 del2010, possano essere considerate per compensare le somme eventualmente da recuperare.

In merito all’ammissibilità della richiesta

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.

In relazione allo specifico quesito formulato dal sindaco del comune di Lissone (MB), il primo punto da esaminare concerne la verifica in ordine alla circostanza se la richiesta rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno (si rinvia, per tutte, alla delibera della Sezione dell’11 febbraio 2009, n. 36).

Infatti, deve essere messo in luce che il parere della Sezione attiene a profili di carattere generale anche se, ovviamente, la richiesta proveniente dall’ente pubblico è motivata, generalmente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione ad una particolare situazione. L’esame e l’analisi svolta nel parere è limitata ad individuare l’interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell’ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente, spettando, ovviamente, a quest’ultimo la decisione in ordine alle modalità applicative in relazione alla situazione che ha originato la domanda.

Con specifico riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva per l’attivazione di questa particolare forma di collaborazione, è ormai consolidato l’orientamento che vede, nel caso del comune, il Sindaco quale organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere, in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’Ente.

Il presente presupposto soggettivo sussiste nel quesito richiesto dal Sindaco del Comune di Lissone, con nota del 13 maggio 2015.

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre rilevare come la disposizione, contenuta nel comma 8 dell’art. 7 della legge 131, deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali. Lo svolgimento della funzione è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, ma che, anzi, le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

La Sezione delle Autonomie, nell’adunanza del 27 aprile 2004, ha fissato principi e modalità per l’esercizio dell’attività consultiva, modificati ed integrati con le successive delibere n.5/AUT/2006 e n.9/SEZAUT/2009. Si è precisato che la funzione consultiva non può intendersi come consulenza generale agli enti, ma ristretta esclusivamente alla materia della contabilità pubblica, quindi ai bilanci pubblici, alle norme e principi che disciplinano la gestione finanziaria e del patrimonio o comunque a temi di carattere generale nella materia contabile. Sono escluse le richieste che comportino valutazioni nel merito di procedimenti amministrativi già adottati. Si è detto inoltre che le questioni sottoposte devono essere di carattere generale, con esclusione di quelle che comportano valutazioni su specifici casi concreti di gestione.

Inoltre, il limite della funzione consultiva, come sopra delineato, fa escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nei casi di interferenza, in concreto, con competenze di altri organi giurisdizionali.

In seguito, le Sezioni riunite della Corte dei conti, con pronuncia di coordinamento, emanata ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102/2009, hanno delineato una nozione di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54 del 17 novembre 2010). Il limite della funzione consultiva, come sopra delineato, fa escludere comunque qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale o nei casi di interferenza, in concreto, con competenze di altri organi giurisdizionali.

Tanto premesso, i quesiti posti dal Comune di Lissone, fatta eccezione per il quinto, devono ritenersi inammissibili. I dubbi proposti con i primi quattro quesiti:

– non afferiscono alla materia della contabilità pubblica, come delimitata dalle Sezioni Riunite della Corte nella pronuncia nomofilattica sopra richiamata (involgendo, in alcuni casi, anche l’interpretazione di documenti e circolari ministeriali, non di norme di contabilità pubblica);

– la circostanza, paventata dallo stesso Comune che, dalla vicenda, possa scaturirne un giudizio di responsabilità presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti inibisce la possibilità di espressione di un parere (si rinvia, per tutte, alla deliberazione della Sezione n. 391/2012/PAR e, per esempio, alla Sezione Sardegna, deliberazione n. 6/2013/PAR). Infatti, in base ad un costante orientamento (cfr. ex multis Sezione delle Autonomie n. 5/AUT/2006 del 17 febbraio 2006), non possono ritenersi procedibili, al fine di scongiurare possibili interferenze e condizionamenti, i quesiti che possono formare oggetto di esame in sede giurisdizionale da parte di altri organi a ciò deputati dalla legge;

– i quesiti proposti attengono, per altri aspetti, all’interpretazione di norme del CCNL, e, come ribadito anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (cfr. deliberazione 56/CONTR/11 del 2 novembre 2011), “in sede consultiva e di nomofilachia, le Sezioni della Corte dei conti non possono rendere parere sull’interpretazione e sul contenuto della norma del contratto collettivo nazionale di lavoro (…) poiché, come più volte specificato, l’interpretazione delle norme contrattuali rientra nelle funzioni che il legislatore ha attribuito all’ARAN. Al riguardo, le Sezioni riunite si sono pronunciate in sede di nomofilachia con Delibera n. 50/CONTR/2010, con la quale hanno evidenziato che l’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi trova una sua compiuta disciplina nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.”. Tali interpretazioni sono state costantemente fatte proprie dalla scrivente Sezione regionale di controllo (cfr., per tutte, le deliberazioni n. 15/2012/PAR e, di recente, n. 31/2015/PAR);

– sotto ulteriori profili i quesiti posti dal Comune di Lissone, tendono ad ottenere una pronuncia della Sezione in ordine alla ragionevolezza, intesa in termini di opportunità e di convenienza per l’Ente, di un predeterminato comportamento amministrativo o negoziale (si rimanda, per esempio, alle deliberazioni della Sezione n. 209/2014/PAR e n. 349/2013/PAR).

Solo il quinto quesito posto dal Comune di Lissone deve ritenersi ammissibile. Il dubbio proposto, infatti, afferisce esclusivamente all’interpretazione di una norma di coordinamento della finanza pubblica, disciplinante presupposti e limiti per la legittima costituzione dei fondi per la contrattazione integrativa dei dipendenti.

Esame nel merito

Il Comune di Lissone chiede se le spese di personale che l’ente ha risparmiato negli anni, al netto delle somme che risultano dall’applicazione degli obblighi derivanti dalle previsioni contenute nell’art. 1, comma 557, legge n. 269 del 2006 ed in quelle contenute nell’art. 9, comma 2-bis, del decreto legge 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, possano essere considerate per compensare le somme eventualmente da recuperare in caso di costituzione, in anni precedenti, dei fondi per la contrattazione integrativa in misura superiore a quanto previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva nazionale.

Il dubbio interpretativo posto dal Comune, anche alla luce delle premesse esposte nell’istanza di parere e degli ulteriori quesiti formulati, giudicati non ammissibili, involge l’esatta interpretazione dei commi 1 e 2 dell’art. 4 del decreto-legge n. 16 del 2014, convertito dalla legge n. 68 del 2014 (rubricato “Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa e all’utilizzo dei relativi fondi”). Appare utile, al fine di fornire una risposta al quesito posto dal Comune, riprodurre integralmente il testo della disposizioni normativa:

“1. Le regioni e gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale, le somme indebitamente erogate mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli. Nei predetti casi, le regioni adottano misure di contenimento della spesa per il personale, ulteriori rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa, mediante l’attuazione di piani di riorganizzazione finalizzati alla razionalizzazione e allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con la contestuale riduzione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale in misura non inferiore al 20 per cento e della spesa complessiva del personale non dirigenziale in misura non inferiore al 10 per cento. Gli enti locali adottano le misure di razionalizzazione organizzativa garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri definiti dal decreto di cui all’articolo 263, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Al fine di conseguire l’effettivo contenimento della spesa, alle unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all’esito dei predetti piani obbligatori di riorganizzazione si applicano le disposizioni previste dall’articolo 2, commi 11 e 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nei limiti temporali della vigenza della predetta norma. Le cessazioni dal servizio conseguenti alle misure di cui al precedente periodo non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over. Le Regioni e gli enti locali trasmettono entro il 31 maggio di ciascun anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Ministero dell’interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali, ai fini del relativo monitoraggio, una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari, dia conto dell’adozione dei piani obbligatori di riorganizzazione e delle specifiche misure previste dai medesimi per il contenimento della spesa per il personale ovvero delle misure di cui al terzo periodo.

L’esposto art. 4 del citato decreto-legge n. 16 del 2014 contiene varie disposizioni, tese, da un lato, a permettere un percorso di recupero nel caso in cui i fondi per la contrattazione integrativa siano stati costituiti in misura eccedente a quella prevista dal CCNL o in violazione dei limiti posti da norme di finanza pubblica (commi 1 e 2) e, dall’altro, a sanare l’eventuale attribuzione al personale di emolumenti non previsti dal CCNL o con modalità e importi in contrasto con quest’ultimo o con la stessa legge (comma 3, non rilevante ai fini della risoluzione del dubbio interpretativo in esame).

Il primo comma dispone, infatti, che le regioni e gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli finanziari posti alla contrattazione integrativa sono obbligati a recuperare integralmente, a valere sulle risorse finanziarie a questa destinate (rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale) le somme indebitamente erogate, con graduale riassorbimento delle stesse (mediante quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli). In questa ipotesi, la norma impone agli enti di adottare misure di razionalizzazione organizzativa tese a ristabilire a regime la congruità della propria spesa per il personale, garantendo in ogni caso la riduzione delle dotazioni organiche entro i parametri di deficitarietà strutturale (cfr. art. 263, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000). Al fine di conseguire l’effettiva riduzione della spesa, per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all’esito dei predetti piani di riorganizzazione, la norma estende l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 2, commi 11 e 12, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 133 del 2012 (collocamento agevolato in pensione, mobilità anche intercompartimentale, utilizzo del rapporto a tempo parziale, etc.).

Il secondo comma del riferito art. 4 del decreto-legge n. 16 del 2014, sempre al fine di recupere le risorse per la contrattazione integrativa costituite complessivamente in eccesso rispetto a quanto previsto dal CCNL, o in violazione di norme di finanza pubblica (quali, in particolare, l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010), introduce una disciplina di maggior favore per le regioni e gli enti locali che hanno rispettato il patto di stabilità interno, permettendo di compensare le somme da recuperare anche attraverso l’utilizzo dei risparmi derivanti dalle misure di razionalizzazione organizzativa (indicate al secondo e terzo periodo del comma 1), nonché di quelli discendenti dall’attuazione dei piani di razionalizzazione delle spese previsti dall’art. 16, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011 (per un esame della relativa disciplina si rinvia alle deliberazioni della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti n. 2/2013/QMIG e della scrivente Sezione regionale per la Lombardia n. 439/2013/PAR e n. 441/2013/PAR).

Al fine di verificare l’effettiva osservanza del recupero delle risorse destinate in eccesso negli anni precedenti, la norma impone, infine, a regioni ed enti locali di trasmettere, entro il 31 maggio di ciascun anno, al Dipartimento della funzione pubblica, al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ed al Dipartimento per gli affari interni e territoriali, una relazione illustrativa ed una relazione tecnico-finanziaria che, con riferimento al mancato rispetto dei vincoli finanziari, dia conto dell’adozione dei piani di riorganizzazione e delle specifiche misure previste per il contenimento della spesa per il personale.

Come reso evidente dal tenore letterale della disposizione, la disciplina posta dai commi 1 e 2 dell’art. 4 del decreto-legge n. 16 del 2014, priva di limite temporale, trova giustificazione nella necessità di operare il recupero delle risorse destinate alla contrattazione integrativa complessivamente costituite in eccesso rispetto ai limiti posti dalla legge o dalla contrattazione collettiva nazionale. La disposizione, in sostanza, richiama la regola generale posta dall’art. 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (obbligo di recupero nella sessione negoziale successiva), che, tuttavia, integra  solo in punto di modalità di refusione. In questo senso, i commi 1 e 2 dell’art. 4 in esame, nel prevedere ulteriori possibilità di recupero, diversamente modulate a seconda che l’ente locale abbia o meno rispettato il patto di stabilità interno, fanno eccezione sul punto alla regola generale (la disciplina posta dall’art. 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che impone, invece, il necessario recupero nell’ambito delle risorse destinate alla sessione negoziale successiva). Pertanto, anche in aderenza ai canoni interpretativi stabiliti dalle disposizioni preliminari al codice civile (art. 14 sul divieto di estensione analogica delle disposizioni che fanno eccezione a regole generali), si deve ritenere che le modalità di recupero che un ente locale deve adottare in caso di costituzione, in anni precedenti, di fondi per la contrattazione integrativa in misura complessivamente superiore a quella prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva nazionale siano esclusivamente quelle nominativamente previste dai commi 1 e 2 dell’art. 4 del decreto legge n. 16 del 2014, convertito dalla legge n. 68 del 2014 (e non altre, quali quelle prospettate dal Comune istante).

L’interpretazione esposta appare, altresì, conforme a quella prospettata dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 12 agosto 2014, emanata a seguito di un approfondimento formalizzato in seno alla Conferenza Unificata, sulla base del mandato contenuto in precedente Circolare del 12 maggio 2015, a firma congiunta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, del Ministro per gli Affari regionali e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Anche il ridetto documento evidenzia, infatti, come in caso di mancato rispetto dei vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva decentrata (costituzione di un fondo complessivo di ammontare superiore a quanto prescritto dal CCNL o dalla legge) occorre procedere all’integrale recupero delle somme indebitamente erogate a valere sulle risorse a questa destinate, mediante graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento dei vincoli (art. 4, comma 1). Inoltre, solo per gli enti rispettosi del patto di stabilità interno, la legge permette la possibilità di assicurare il sopra indicato recupero anche attraverso la destinazione dei risparmi determinati a seguito dell’adozione delle misure di razionalizzazione organizzativa, nonché dei piani di razionalizzazione della spesa previsti dall’articolo 16, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 98 del 2011 (art. 4, comma 2).

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