RISARCIMENTO DEI DANNI AL SEGRETARIO COMUNALE ILLEGITTIMAMENTE REVOCATO – CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA 24444/2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Potenza, con sentenza depositata il 29 gennaio 2013, pronunziando quale giudice di rinvio designato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18837 del 30/8/2010 sull’appello proposto dal Comune di Castellabate, nei confronti di Farzati Bruno, avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 30/9/2004 n. 931, in parziale riforma della predetta sentenza ha condannato il Comune appellante al risarcimento dei danni in favore del Farzati, da commisurare alle mensilità stipendiali (da determinare a norma delle disposizioni contrattuali vigenti) che lo stesso avrebbe percepito nel periodo decorrente dalla revoca dell’incarico di segretario comunale sino al sessantesimo giorno successivo a quello dell’insediamento del nuovo sindaco, detratto da tale importo quanto percepito dal Farzati per lo stesso titolo nel medesimo periodo, oltre interessi legali dalla revoca al soddisfo. Per la cassazione della sentenza ricorre il Comune di Castellabate articolando due motivi ulteriormente illustrati da memoria depositata in prossimità dell’udienza. Il Farzati resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 393 e 394 c.p.c. in ordine al compito riservato al giudice di rinvio, 278 c.p.c. relativamente alla condanna generica non richiesta dalle parti, 112 c.p.c. circa la corrispondenza tra chiesto e pronunziato; ed altresì vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio del danno patito dal 1 Corte di Cassazione – copia non ufficiale lavoratore dopo la revoca dell’incarico di segretario senza la perdita del trattamento contrattuale. In particolare, la parte ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe omesso l’esame del devolutum e quindi l’accertamento del fatto, dichiarando di seguire solo le argomentazioni utilizzate dalla Corte di legittimità come punto di partenza per acquisizioni in punto di fatto da ritenere ormai irreversibili; e che non avrebbe dovuto emettere una statuizione di condanna generica a fronte di una specifica richiesta di quantificazione del danno preteso dal Farzati, né avrebbe potuto far salve le cinque mensilità di stipendio di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970, non trattandosi di licenziamento, posto che il rapporto di lavoro del segretario comunale, pur interrottosi col Comune, era proseguito con l’ “Agenzia dei Segretari comunali”. 1.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui viene invocato l’art. 360 n. 5 c.p.c. poiché l’invocazione non è accompagnata dall’indicazione del fatto decisivo e discusso tra le parti asseritamente trascurato dalla sentenza impugnata. Per il resto non è fondato giacché, avendo questa Corte stabilito in diritto i criteri di determinazione del danno, ad essi si è esattamente attenuto il giudice di rinvio, il quale è vincolato non solo ai detti criteri, ma anche ai necessari presupposti di fatto, da ritenere accertati in via definitiva nella precedente fase di merito, quali premesse logico-giuridiche della pronuncia di annullamento (Cass. n. 1070/1999). Quanto alla doglianza di emissione di una condanna generica, a prescindere dalla omessa specificazione dell’interesse a ricorrere, non può considerarsi generica una condanna risarcitoria che fissi tutti i criteri di calcolo del danno , risultando così di facile e pronta liquidazione. Questo danno derivò, nella fattispecie, dalla fine del rapporto tra il lavoratore ed il Comune, restando estraneo al tema di decisione il rapporto con 1′ “Agenzia dei segretari comunali”. 2 Corte di Cassazione – copia non ufficiale 2. Con il secondo motivo, allegando, sempre in relazione all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 394 c.p.c., del D. M. 20.7.2012, n. 140, in ordine alla condanna alle spese processuali di tutti i gradi del procedimento ed alla determinazione del compenso maturato, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio del rimborso del compenso richiesto dall’avvocato di controparte, la parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia errato nella liquidazione delle spese processuali in favore della parte ritenuta vittoriosa ed a carico di quella soccombente nella misura stabilita in sentenza; e ciò anche in violazione delle norme contenute nel D.M. 20.7.2012, n. 140. 2.1. Questo motivo è inammissibile per indeterminazione. Vi si parla infatti di parziale soccombenza del lavoratore, le cui pretese non furono accolte totalmente; di “compensi medi” eccessivi e di “condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli”, senza le necessarie specificazioni che permettano di comprendere il reale contenuto della censura. Deve, dunque, affermarsi, per tutte le considerazioni che precedono, che i motivi articolati non sono idonei a scalfire le argomentazioni cui è pervenuta la Corte di merito. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore avv. Feliciano Palmieri, dichiaratosi antistatario, seguono la soccombenza. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Link al documento: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20161130/snciv@sL0@a2016@n24444@tS.clean.pdf

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