Premesso che
Il Comune di Sarzana (SP) ha formulato una richiesta di parere inerente alla possibilità per un ente locale di concedere garanzie ad una società partecipata. Premette che il Comune detiene il 100% delle quote di una società posta in liquidazione, che ha chiuso gli esercizi in utile fino al 2011. La decisione dello scioglimento fu assunta con deliberazione di Giunta comunale n. 2 del 16 gennaio 2010, seguita da conforme deliberazione dell’assemblea dei soci, in data 17 gennaio 2013,–in un momento in cui la società non aveva ancora palesato perdite di esercizio (il primo bilancio in perdita è stato, infatti, approvato nel giugno 2013).
Da alcuni anni esiste una fideiussione concessa dall’ente locale a garanzia di un’apertura di credito in favore della società, inizialmente pari ad euro 6.500.000, e successivamente ridotta fino ad arrivare all’importo attuale, pari ad € 1.500.000. Nel patrimonio della società rimane un solo bene immobile (di valore sufficiente a chiudere l’anticipazione bancaria), per il quale sono stati espletati già due tentativi di vendita mediante asta pubblica, non andati a buon fine.
L’istanza di parere precisa che il valore–di stima del bene, nonostante le difficoltà del mercato immobiliare, appare sostanzialmente congruo, in quanto è stato approvato un progetto esecutivo di ampliamento e consolidamento della viabilità di accesso esistente (finanziato anche da un contributo regionale), che ha reso l’area stessa più appetibile economicamente. Sussistono, quindi, riferisce il Comune, le condizioni per poter procedere ad una nuova asta pubblica o per avviare trattative negoziate con privati interessati, ma è fondamentale che venga mantenuta l’apertura di credito e, conseguentemente, prorogata o rinnovata la fideiussione esistente, per avere il tempo necessario a consentire il perfezionamento della procedura di alienazione (e chiudere contestualmente l’anticipazione).
L’istanza di parere evidenzia come la normativa vigente di finanza pubblica non contenga elementi in merito alla gestione dei percorsi di liquidazione. Precisa, inoltre, di non aver rinvenuto pronunce di altre Sezioni della Corti dei conti sulla materia.
L’articolo 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dispone in merito alle azioni praticabili da società dotate di pieni poteri gestionali, e, nello specifico, non consente di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito o rilasciare garanzie a favore di società partecipate che, per tre esercizi consecutivi, abbiano chiuso in perdita. La normativa non prende in considerazione, invece, precisa l’istanza, l’ipotesi delle società in liquidazione.
Alla luce di quanto esposto, il Comune chiede un parere in merito alla possibilità di poter sottoscrivere, in qualità di socio, una fideiussione a favore di una società in liquidazione, che ha registrato perdite negli ultimi tre esercizi, sia prorogando quella esistente, sia concedendone una nuova (qualora venissero reperite migliori condizioni bancarie, maggiormente convenienti sia per la società che per il Comune). L’operazione consentirebbe di evitare la potenziale escussione della garanzia rilasciata dal Comune, ai fini della cui copertura l’ente dovrebbe assumere misure fiscali o azioni di riduzione dei servizi. All’Ente istante pare che la suddetta proroga possa rappresentare anche un atto necessario di buona amministrazione, in attesa della chiusura dell’anticipazione bancaria. Si tratterebbe, in sostanza, secondo l’Amministrazione, di un’operazione-ponte, limitata al periodo di tempo strettamente necessario per il perfezionamento della vendita dei terreni, che risponderebbe ad una logica di economicità amministrativa e di evidente interesse pubblico.
In merito all’ammissibilità della richiesta
La richiesta di parere risulta ammissibile sotto il profilo soggettivo e procedurale in quanto sottoscritta dall’organo legittimato a rappresentare l’Ente e trasmessa tramite il Consiglio delle Autonomie locali, nel rispetto quindi delle formalità previste dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003. La stessa è parimenti ammissibile sotto il profilo oggettivo, essendo le questioni proposte riconducibili alla materia della contabilità pubblica, che costituisce il limite normativo della funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Sussistono, inoltre, gli altri requisiti individuati nelle pronunce di orientamento generale delle Sezioni Riunite in sede di controllo (cfr. deliberazione n. 54/CONTR/10) e della Sezione delle Autonomie (cfr. deliberazioni n. 5/AUT/2006, n. 9/AUT/2009 e n. 3/SEZAUT/2014/QMIG).
Esame nel merito
In via preliminare la Sezione precisa che la decisione circa l’applicazione in concreto delle disposizioni in materia di contabilità pubblica è di esclusiva competenza dell’ente locale, rientrando nella discrezionalità e responsabilità dell’amministrazione. Quest’ultimo, tuttavia, potrà orientare la sua decisione in base alle conclusioni contenute nel presente parere.
Il quesito formulato dal Comune di Sarzana è riconducibile all’interpretazione dell’art. 6, comma 19, decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, laddove stabilisce che “al fine del perseguimento di una maggiore efficienza delle società pubbliche, tenuto conto dei principi nazionali e comunitari in termini di economicità e di concorrenza, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dall’art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti alle società di cui al primo periodo a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti. Al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei Conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma”.
Sulla ratio della norma, le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno avuto modo di pronunciarsi da tempo (cfr, per tutte, SRC Lombardia, deliberazioni n. 753/2010/PAR, n. 1081/2010/PAR e n. 636/2011/PAR). In particolare, è stato sottolineato come il precetto normativo “impone l’abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi di strutture e organismi partecipati o variamente collegati alla pubblica amministrazione che versano in situazioni d’irrimediabile dissesto, ovvero l’ammissibilità d’interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza l’inserimento in un programma industriale o in una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo (comma 19 primo periodo). I trasferimenti agli organismi partecipati sono consentiti solo se vi sarà un ritorno in termini di corrispettività della prestazione a fronte dell’erogazione pubblica, ovvero la realizzazione di un programma d’investimento. Eventuali interventi in deroga, potranno essere autorizzati solo al cospetto di gravi pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e la sanità e al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse (comma 19, secondo periodo)”.
Per quanto riguarda lo specifico quesito posto dal Comune istante, inerente alla legittimità di una concessione di garanzia personale ad una società partecipata che, in fase di liquidazione, ha registrato perdite d’esercizio per tre anni consecutivi, deve essere ricordato quanto già evidenziato dalla giurisprudenza contabile (cfr., di recente, SRC Piemonte, deliberazione n. 99/2015/PRSE e, in precedenza, SRC Lombardia, n. 98/2013). In quelle occasioni è stato sottolineato come il socio di una società di capitali, salvo ipotesi particolari (come nel caso in cui sia esposto direttamente nei confronti dei creditori della società), risponde limitatamente alla quota di capitale detenuta. Invece, il socio che procede alla mera copertura del fabbisogno finanziario della liquidazione societaria si accolla, di fatto, i debiti di un terzo soggetto (di qui la necessità di porre in evidenza la ragione economico-giuridica dell’operazione, altrimenti fonte di ingiustificato favor verso i creditori della società incapiente, cfr. SRC Lombardia, deliberazione n. 380/2012/PRSE e, di recente, n. 260/2015/PRSE e n. 269/2015/PRSP).
Inoltre, sulla base della ratio sopra ricordata, è stato chiarito che se non è ammissibile, nell’ottica di una sana gestione finanziaria, effettuare salvataggi nei confronti di una società in protratta perdita d’esercizio, ma ancora presente sul mercato, risulta difficile ritenere economicamente razionale un soccorso finanziario all’esito di una procedura di liquidazione (cfr., per esempio, SRC Sicilia, deliberazione n. 59/2014/PAR), operazione comunque preclusa nel caso della ricorrenza dei presupposti previsti dal citato art. 6, comma 19, del decreto-legge n. 78 del 2010 (cfr. SRC Lombardia, deliberazioni n. 380/2012/PRSE e n. 269/2015/PRSP).
La scrivente Sezione, sulla base del tenore letterale della disposizione limitativa di finanza pubblica, oggetto di univoca interpretazione da parte della magistratura contabile anche nella fattispecie di società in liquidazione, ritiene che l’eventuale concessione di una garanzia personale da parte del Comune socio nella ricorrenza dei tre esercizi consecutivi in perdita costituisca violazione del divieto di soccorso finanziario posto dall’art. 6, comma 19, del decreto-legge n. 78 del 2010. La norma, infatti, fa riferimento alla registrazione di perdite d’esercizio in un predeterminato arco temporale, senza distinguere fra gestione sociale ordinaria e gestione liquidatoria, fase in cui, pur mutando lo scopo dell’organizzazione (limitata alla monetizzazione dell’attivo patrimoniale ed al pagamento delle posizioni debitorie, cfr. artt. 2484, e seguenti, del codice civile), comunque la vita sociale prosegue, con obbligo di redazione e approvazione di bilanci annuali (cfr. art. 2490 codice civile), e conseguente potenziale emersione di perdite.
Ulteriore conferma all’interpretazione esposta si desume dalla differente valutazione effettuata dal legislatore nella disciplina di imposizione di accantonamenti al bilancio degli enti locali in caso di approvazione di bilanci d’esercizio in perdita da parte di società partecipate (art. 1, commi 551 e seguenti, della legge di stabilità 27 dicembre 2013, n. 147). In questa ipotesi, infatti, il legislatore ha espressamente previsto che l’obbligo venga meno, fra l’altro, nel caso in cui l’ente locale deliberi lo scioglimento della società.
Anche in questo caso, tuttavia, premesse le ragioni di prudenza tese a preservare gli equilibri di bilancio, che impongono di accantonare predeterminate risorse in presenza di specifici rischi, differente è la valutazione che il medesimo ente locale socio deve compiere ai fini della concreta destinazione delle ridette risorse a favore della società partecipata, anche in stato di liquidazione. Si tratta di ipotesi, come sottolineato anche da altre Sezioni (cfr., di recente, SRC Lombardia, deliberazioni n. 15/2015/PRSE e n. 260/2015/PRSP), in cui non sussiste un obbligo di ripiano a carico del comune socio (anche se unico), che deve, invece, dimostrare, in caso di soccorso finanziario, la motivata presenza di un interesse (rilascio pregresso di una garanzia; necessità di recuperare al patrimonio comunale beni indisponibili necessari per l’erogazione di servizi pubblici fondamentali; etc.), nonché la mancata ricorrenza della preclusione posta dal più volte richiamato art. 6, comma 19, del decreto-legge n. 78 del 2010.
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