IL PERSONALE DIPENDENTE CON PART TIME NON SUPERIORE AL 50% NON DEVE CHIEDERE ALCUNA AUTORIZZAZIONE PER SVOLGERE QUALSIASI ALTRA ATTIVITA’ LAVORATIVA – CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 22497/2022

IL PERSONALE DIPENDENTE CON PART TIME NON SUPERIORE AL 50% NON DEVE CHIEDERE ALCUNA AUTORIZZAZIONE PER SVOLGERE QUALSIASI ALTRA ATTIVITA' LAVORATIVA - CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 22497/2022

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TELELAVORO E LAVORO AGILE, E’ ORA CHE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CAMBI MARCIA – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, CIRCOLARE N. 1/2020

Oggetto: Misure incentivanti per il ricorso a modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa.

1. Premessa
La progressiva digitalizzazione della società contemporanea, le sfide che sorgono a seguito dei cambiamenti sociali e demografici o, come di recente, da situazioni emergenziali, rendono necessario un ripensamento generale delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa anche in termini di elasticità e flessibilità, allo scopo di renderla più adeguata alla accresciuta complessità del contesto generale in cui essa si inserisce, aumentarne l’efficacia, promuovere e conseguire effetti positivi sul fronte della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, favorire il benessere organizzativo e assicurare l’esercizio dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, contribuendo, così, al miglioramento della qualità dei servizi pubblici.
L’attuale quadro normativo interviene sulla materia, prevedendo per le pubbliche amministrazioni apposite misure che, anche al fine di verificare gli effetti delle politiche pubbliche, richiedono un apposito monitoraggio.
Con la presente circolare si forniscono alcuni chiarimenti sulle modalità di implementazione delle misure normative e sugli strumenti, anche informatici, a cui le pubbliche amministrazioni possono ricorrere per incentivare il ricorso a modalità più adeguate e flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa.

2. Disciplina per la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche
L’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ha disposto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.
La disposizione prevede che l’adozione delle predette misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi costituiscano oggetto di valutazione nell’ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all’interno delle amministrazioni pubbliche.

Le amministrazioni pubbliche, inoltre, adeguano i propri sistemi di monitoraggio e controllo interno, individuando specifici indicatori per la verifica dell’impatto sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative.
Per effetto delle modifiche apportate al richiamato articolo 14 della legge n. 124 del 2015 dal recente decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, recante “Misure  urgenti  di  sostegno  per  famiglie,  lavoratori  e  imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, è superato il regime sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa con la conseguenza che la misura opera a regime.
La legge 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinatoha introdotto, tra l’altro, misure volte a favorire una nuova concezione dei tempi e dei luoghi del lavoro subordinato, definendo il lavoro agile come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Per il settore di lavoro pubblico, l’articolo 18, comma 3, della predetta legge n. 81 del 2017, prevede che le disposizioni introdotte in materia di lavoro agile si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.

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SI A COMPENSI EXTRA PER GLI LSU – CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17014/2017

Eguente ORDINANZA sul ricorso 19892-2011 proposto da: SAGLIMBENI UMBERTO SGLMRT30A08E014Z, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; – ricorrente – contro ISTITUTO DI PREVIDENZA PER IL SETTORE MARITTIMO – 2017 I.P.S.E.M.A.; 863 – intimata – avverso la sentenza n. 4945/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/08/2010 R.G.N. 3971/2007. RILEVATO IN FATTO che, con sentenza depositata il 7.8.2010, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la domanda di Umberto Saglimbeni volta alla corresponsione da parte dell’IPSEMA della rendita per malattia professionale; che avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Umberto Saglimbeni, deducendo violazione del giudicato interno, per avere la Corte di merito proceduto alla riqualificazione della malattia dedotta in giudizio da mesotelioma pleurico a pleurite cronica, nonostante non vi fosse stato sul punto appello da parte dell’IPSEMA, e vizi della consulenza tecnica d’ufficio; che l’IPSEMA è rimasto intimato; CONSIDERATO IN DIRITTO che, essendo stata la notifica del ricorso per cassazione effettuata nei confronti del procuratore dell’IPSEMA costituito in appello, ex art. 170 c.p.c., il contraddittorio deve ritenersi validamente instaurato anche nel presente giudizio, non rilevando in contrario l’avvenuta soppressione dell’IPSEMA a far data dal 31.5.2010 (cfr. art. 7, d.l. n. 78/2010, conv. con I. n. 122/2010), avendo questa Corte già fissato il principio secondo cui la soppressione di un ente pubblico, con il trasferimento dei relativi rapporti giuridici ad un altro ente, determina l’interruzione automatica del processo, ai sensi dell’art. 299 c.p.c., soltanto ove intervenga tra la notificazione della citazione e la costituzione in giudizio, trovando altrimenti applicazione l’art. 300 c.p.c., che impone, ai fini della interruzione, la corrispondente dichiarazione in udienza del procuratore costituito per la parte interessata dall’evento, di talché, in assenza di siffatta dichiarazione entro la chiusura della discussione (avvenuta in specie all’udienza del 21.6.2010), la posizione della parte rappresentata resta stabilizzata, rispetto alle altre parti ed al giudice, quale persona giuridica ancora esistente, con correlativa ultrattività della procura ad litem, nessun rilievo assumendo, ai fini suddetti, la conoscenza dell’evento aliunde acquisita, ancorché evincibile da un provvedimento legislativo che ha disposto quella soppressione (Cass. n. 6208 del 2013); che a diverse conclusioni non è dato in specie pervenire nemmeno considerando che il procuratore dell’IPSEMA già costituito in appello ha provveduto a notificare all’odierno ricorrente la sentenza impugnata quale procuratore dell’INAIL in data 6.6.2011, trattandosi di atto tipizzato dall’ordinamento processuale ai fini del decorso del termine breve d’impugnazione (art. 285 c.p.c.) e non potendosi logicamente attribuire ad esso il valore di manifestazione di volontà diretta a comunicare l’avvenuta soppressione dell’ente, onde avvalersene quale evento interruttivo; che, am riguardo al merito del ricorso, con ragione il ricorrente lamenta la violazione del giudicato interno, dal momento che l’accertamento di una tecnopatia diversa da quella ritenuta in primo grado costituiva un capo autonomo di sentenza (v. in tal senso Cass. nn. 18933 del 2006 e 11897 del 1995) che non rientrava nel devolutum del giudizio d’appello, quest’ultimo concernendo esclusivamente l’eziologia professionale della malattia accertata dal primo giudice e la misura della rendita attribuita all’assicurato (cfr. atto d’appello IPSEMA, riportato a pagg. 4 e 10 del ricorso per cassazione); che, assorbite le censure rivolte alla CTU, la sentenza impugnata va conseguentemente cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione; P. Q. M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale.

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